Pubblicità dei Prodotti Alimentari

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Oggetto: Pubblicità dei Prodotti Alimentari
 

Profili nutrizionali inutili? Tutt'altro!

 In questi giorni se ne parla molto e, come spesso accade (per ignoranza o peggio), i commenti, praticamente tutti in una sola direzione, non forniscono l'esatto quadro della situazione. Ma cominciamo dall'inizio.

Il regolamento (CE) n. 1924/06 (regolamento claims) prevedeva (art. 4) che, entro il 19 gennaio 2009, la Commissione stabilisse “profili nutrizionali specifici, comprese le esenzioni, cui devono attenersi gli alimenti o talune categorie di alimenti per poter recare indicazioni nutrizionali o sulla salute, nonché le condizioni concernenti l'uso di indicazioni nutrizionali o sulla salute per alimenti o categorie di alimenti in relazione ai profili nutrizionali.”

Per “indicazione nutrizionale” si intende “qualunque indicazione che affermi, suggerisca o sottintenda che un alimento abbia particolari proprietà nutrizionali benefiche, dovute: a) all'energia (valore calorico) che i) apporta, ii) apporta a tasso ridotto o accresciuto, o iii) non apporta, e/o b) alle sostanze nutritive o di altro tipo che i) contiene, ii) contiene in proporzioni ridotte o accresciute, o iii) non contiene”.

Per “indicazione sulla salute “si intende “qualunque indicazione che affermi, suggerisca o sottintenda l'esistenza di un rapporto tra un categoria di alimenti, un alimento o uno dei suoi componenti e la salute”.

Quale lo scopo di questi profili?

L'applicazione di profili nutrizionali come criterio è intesa ad evitare situazioni in cui le indicazioni nutrizionali o sulla salute occultano il valore nutrizionale complessivo di un dato prodotto alimentare e possono quindi fuorviare il consumatore che cerca di compiere scelte sane nel quadro di una dieta equilibrata. Scopo unico dei profili nutrizionali previsti dal presente regolamento dovrebbe essere quello di regolare le circostanze in cui sono possibili le indicazioni.”

Questi i termini della questione, e non mi pare che ci possano essere fraintendimenti (a meno di crearli ad arte).

Per dirla in modo ancora più chiaro: poiché l'utilizzo di informazioni (claims) costituisce un potente strumento pubblicitario, utile ad attirare il consumatore, è bene che tale strumento non venga impiegato in maniera indiscriminata, poiché ciò potrebbe “occultare” (magari volutamente) un valore nutrizionale complessivo non proprio ideale.

Tanto per fare un esempio: oggi, per poter vantare che un prodotto è “fonte di fibre”, è sufficiente che ci siano almeno 3 grammi di fibre per 100 grammi di prodotto, indipendentemente dalla natura degli altri componenti, alcuni dei quali (sale, grassi saturi, ...) potrebbero, però, essere presenti in quantità tali da rendere il prodotto stesso, complessivamente, ben lontano dall'immagine positiva che il consumatore, spesso in maniera acritica, tende ad associare alla presenza di fibre.

Banalizzare il tutto parlando di alimenti “buoni” e “cattivi” è chiaramente improprio, se non strumentale, così come è strumentale affermare che i profili nutrizionali ostacolerebbero le scelte consapevoli dei consumatori: in realtà è proprio il contrario. E non è un caso che a compiacersi della, per ora, bocciatura dei profili nutrizionali (l'emendamento soppressivo passerà all'esame del Parlamento Europeo in Plenaria tra maggio e giugno) siano proprio le industrie alimentari, le quali, in caso contrario, non potrebbero più (o, almeno, avrebbero qualche difficoltà aggiuntiva) ad impiegare a loro insindacabile giudizio, come attualmente fanno, i claims nutrizionali e sulla salute, infischiandosene non solo dei “valori nutrizionali complessivi”, ma anche del rispetto delle norme cogenti .

Né poteva mancare il grido di dolore per le “buone, vecchie tradizioni”: “...a rischiare di subire gli effetti delle nuove regole sarebbero stati anche formaggi come il gorgonzola, il pane nero tedesco, alcuni tipi di biscotti, le gallette. Per non parlare degli snack e di molti alimenti tipici delle varie culture europee. Prodotti ideati secoli fa ed entrati nella cultura alimentare delle popolazione del vecchio continente, come il nostro panettone, che pur essendo preparati nel rispetto della tradizione, sforano i limiti fissati dai profili nutrizionali.(www.il giornale.it)”.

Certo, concetti come “tradizionale”, “di una volta”, “della nonna”, “del contadino”, “della fattoria” e simili, sono ottimi strumenti pubblicitari e qualcuno potrebbe, forse, essere influenzato sfavorevolmente nello scoprire (ma sarebbe poi una sorpresa?) che ci sono prodotti che “sforano”: è chiaro che la cosa può dare fastidio ai creativi uomini di marketing, i quali vogliono essere i soli a decidere cosa sia opportuno (non) dire ai consumatori.

Spiace notare come, ancora una volta, la “tutela del consumatore” venga tirata in ballo per giustificare interessi di altra natura. Sarà il caso che, parafrasando Goebbels (“Quando sento parlare di cultura metto mano alla pistola”) ci si abitui, quando si sente parlare di “interessi del consumatore”, a mettere mano ad un salutare scetticismo ( e a documentarsi un po').




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Parole chiave (versione beta)

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