Direttiva 2011/91/UE: considerazioni sul numero di lotto

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Oggetto:
Ho appena inserito in news l'informazione relativa alla pubblicazione in GUUE della direttiva 2011/91/UE la quale ribadisce l'obbligo di identificare le derrate alimentari con quello che, in pratica, è definito "numero di lotto".
Alcune considerazioni:
- come ho accennato nel mio articolo relativo al nuovo regolamento etichettatura, non comprendo il motivo per cui questa prescrizione, la cui importanza è evidente, continui a non far parte della normativa specifica sull'etichettatura;
- la nuova direttiva non mi pare contenga grosse differenze operative rispetto a quanto stabilito dal 109/92, art. 13;
- in particolare, tra le esenzioni, permane quella relativa "alle porzioni individuali di gelato alimentare. L’indicazione che consente di identificare la partita figura sulle confezioni multiple "; onestamente il motivo mi sfugge. Nei considerando della direttiva si legge: "Conviene tener conto che il consumo immediato dopo l’acquisto di alcune derrate alimentari, come i gelati alimentari in porzioni individuali, rende inutile l’indicazione della partita direttamente sulla confezione individuale. Tuttavia, per questi prodotti l’indicazione della partita dovrebbe figurare obbligatoriamente sulle confezioni multiple." Dato che, abitualmente, chi consuma la monoporzione non conserva (o non ha, comunque, a disposizione) l'involucro esterno, qualora avesse necessità di segnalare un problema si troverebbe inevitabilmente in difficoltà.  E poi, perché i gelati  E
E poi, perchè solo i gelati, dato che le confezioni multipack sono ormai diffuse in numerose altre categorie merceologiche ?
 

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Oggetto: Direttiva 2011/91/UE: considerazioni sul numero di lotto
provaprovaprovaprovaprova

Oggetto:
Il fatto alimentare dedica un articolo alla recente direttiva che riconferma l'obbligo all'utilizzo del numero di lotto.
In chiusura si accenna ai "prodotti preconfezionati sul punto vendita (o in locali attigui) che, oltre a essere esentati dalla quasi totalità delle nuove informazioni obbligatorie per le etichette, compresi il termine minimo di conservazione o la data di scadenza, sono esentati anche dall'indicazione del codice di lotto." (quelli che il nuovo regolamento 1169/11 chiama "alimenti non preimballati" e il buon vecchio 109/92 "preincartati").
Non sono d'accordo.
Come riportato in una precedente  discussione (che contiene il testo integrale di un mio articolo sull'argomento): La Corte di Cassazione, richiamando sue precedenti pronunce, ha ribadito che la differenza tra prodotto alimentare “preconfezionato” e prodotto “preincartato” va individuata facendo riferimento alle caratteristiche dell’imballaggio stesso, senza che abbia rilevanza il luogo di confezionamento.
 
La cosa è importante, specie per i colleghi che si occupano di Grande distribuzione, la quale utilizza ampiamente questo tipo di unità di vendita, così descritta in un rapporto dei NAS:
1) le confezioni rinvenute erano unità di vendita destinate ad essere presentate come tali al consumatore, il quale poteva scegliere tra l'una e l'altra per la differenza di peso e quindi di pezzo o di un più gradevole aspetto organolettico del prodotto posto in vendita poiché chiuso in distinte confezioni di cellophane;
2) la carne sezionata era stata chiusa in un imballaggio prima di essere posta in vendita al consumatore (quindi non vi è stata una scelta a priori del consumatore finale sulla quantità e qualità del taglio di carne e trippa).
3) i prodotti de quibus erano avvolti interamente nell'imballaggio, costituito da una vaschetta di polistirolo chiusa con una pellicola di cellophane, che non dava la possibilità all'esercente o al consumatore di modificare il contenuto senza aprire o alterare la confezione.
 
Quindi, cari colleghi, attenzione: se il vostro capo si ostina a non etichettare compiutamente queste confezioni, fategli presente che il titolare del caso da cui ho tratto la suddetta citazione è stato condannato (marzo 1999)  a pagare 6 milioni di sanzione (sentenza confermata in Cassazione). 

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Oggetto:

Rispolvero questo argomento perché recentemente ho dovuto gestire alcune opinioni ASL un po' contraddittorie.

La ditta in oggetto appone su etichetta un lotto alfanumerico che si riferisce sempre al giorno di confezionamento. Tale lotto è identico per tutte le referenze confezionate quel giorno e fin qui niente di scorretto secondo me (a parte dover eventualmente ritirare dal mercato un intero giorno di lavoro) anche se nei regolamenti si parla sempre di derrata alimentare come se ogni prodotto dovesse avere il proprio lotto...

Seconda cosa: il lotto di p. finito, dalle schede di produzione, può far riferimento a più lotti interni di produzione, che ne pensate?

 

 

 


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Oggetto:

Se ben capisco stiamo parlando della cosidetta "rintracciabilità interna" che, personalmente ritengo obbligatoria, proprio alla luce di quanto previsto dal reg. 178/02.

Solo potendo collegare il lotto p.f. alle fasi di lavorazione che lo hano preceduto ( e queste, via via, sino ai lotti delle m.p. utilizzate) si sarà in grado di ricercare cause di eventuali anomalie.


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Oggetto:

Proprio così Alfredo. Tuttavia mi sono scontrato con una dura realtà: alcune aziende fanno stock di magazzino senza etichettare i prodotti ma identificandoli solo con un lotto interno. Al momento del confezionamento vengono prelevati e se insufficienti all'evasione ordine vengono integrati con altre confezioni (con altro lotto interno): a tutto però poi viene dato un solo lotto finale che è quello che esce in etichetta.

Se parliamo di semilavorati capisco che la tracciabilità interna è strumento indispensabile; un prodotto confezionato in attesa di essere solo etichettato può essere considerato un semilavorato? Secondo la definizione di lotto direi di no quindi credo che l'unica solouzione sia produrre, confezionare, etichettare e spedire diversi lotti di prodotti anziché dare un solo lotto il giorno di spedizione.

 


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Oggetto:

Alfredo che mi dici? 

"Se parliamo di semilavorati capisco che la tracciabilità interna è strumento indispensabile; un prodotto confezionato in attesa di essere solo etichettato può essere considerato un semilavorato?"


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Oggetto:

In generale la risposta è sì, ma ci possono essere più casi:

-Caso 1: tutto un singolo "lotto" (cioè fabbricato nelle stesse condizioni) di prodotto confezonato A viene etichettato con un unica etichetta E. Questo è il caso più semplice, dato che è sufficiente registrare che in E c'è solo A. 

- Caso 2: il "lotto" A viene etichettato con E1, E2, ecc. Analogamente a prima, un'unica registrazione (per tipo di etichetta) è sufficiente.

- Casi 3/4: più "lotti" di confezionato vengono etichettati con diverse etichette. Ovviamente, in questi casi, entrano in gioco gli orari e le registrazioni sono più complesse.: 


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Oggetto:

Ottimo. Il caso 2 però mi viene contestato.

io sostengo che se nel lotto di oggi io traccio sia la produzione odierna sia alcune confezioni già chiuse con lotto interno di venerdì non etichettate, rispettando la shelf life complessiva (se metto lotto di oggi la scadenza è uguale sia per la produzione odierna sia per quella di venerdì), perché non va bene?

Scusa alfredo se ti interpello continuamente ma il caso è spinoso e siccome l'ho ritrovato in diverse aziende vorrei mettere a punto un sistema preciso che vada bene per tutti.

Io vorrei far capire questo:

prodotto confezionato con shelf-life documentata 30gg. scadenza assegnata 21gg.

produco oggi, confeziono e lascio in stock assegnando lotto interno 21/05/18.

il 25 maggio produco, confeziono ed etichetto con scadenza 21gg prelevando anche le confezioni in stock suddette. Scadenza e lotto uguale per tutto. Tracciabilità garantita internamente con lotti interni. Vero che ho due produzioni con lo stesso lotto di uscita e scadenza però se rientro nei 30gg di shelf life peché no?

(Sarebbe ovviamente più semplice produrre ed etichettare ma avrei nella stessa consegna più lotti e scadenze che creeerebbero molti errori e problemi.)


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Oggetto:

Se capisco bene (e non sono sicuro, ma faccio del mio meglio) il problema non riguarda la “scadenza”, ma, appunto, la rintracciabilità.

Supponiamo che l’indicazione del lotto coincida con il giorno di produzione.

Ad esempio: abbiamo monodosi prodotte il giorno 1 e monodosi prodotte il giorno 2. Il giorno 3 assembliamo ed etichettiamo con lotto 3. Tutto il prodotto rientra nella shelf-life assegnata.

A questo punto la tua documentazione deve essere in grado di stabilire che, in corrispondenza del lotto 3 vi sono sia monodosi 1 che 2 le quali, se anche hanno la stessa shelf-life, sono state fabbricate in condizioni diverse (possibili diverse m.p., diverse condizioni di processo, ecc.). Ovviamente ciò è possibile solo se le singole monodosi sono identificabili (lotto 1 diverso da lotto 2).

Sarebbe utile conoscere i motivi della contestazione.

ciao


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Oggetto:

Capito benissimo.

La contestazione verte sul fatto che secondo il contestante il lotto sulla confezione deve assolutamente far riferimento a "derrate prodotte e/o confezionate nelle medesime condizioni" e che la sola etichettatura non può comportare una variazione del lotto originario. In sostanza quando confeziono devo etichettare e assegnare il lotto: se faccio stock di prodotto avrò più lotti con più scadenze e questo ovviamente crea un bel casino, cosa che vorrei evitare sfruttando la tracciabilità interna come giustamente dici tu.

 


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Parole chiave (versione beta)

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