CCP basi per pizza romana precotte

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Oggetto:

Salve a tutti i colleghi,

Avrei un dubbio in merito a quanto riportato come oggetto della discussione,

Devo sviluppare un piano HACCP per un cliente che prepara basi per pizza "pinsa" romana, da tenere a temperatura di refrigerazione.

Come Ccp ho pensato che sicuramente la cottura lo rappresenta, in quanto il prodotto è portato a 300°C per 1,5 minuti, quindi una contaminazione delle fasi precedenti sicuramente può essere "sistemata" da questo processo.

Successivamente il prodotto viene raffreddato per una decina di minuti fuori dal forno e abbattuto, entra a 60°C ed esce a 4°C;

infine viene confezionato sottovuoto o in atm, ed etichettato. In questa fase passano sempre all'incirca 10 minuti.

Il prodotto quindi sicuramente aumenterà di gradi in quest'ultima fase, ma io direi, non essendo un prodotto a rischio, se per dieci minuti esce dal range di refrigerazione non dovrebbe essere un problema. A riguardo infatti non ho trovato letteratura o normativa in merito, quindi mi baso sul fatto che un in un alimento generico, prima della ricrescita microbica, debba sostare almento un'ora a temperatura ambiente. Mentre qui si parla di 10 minuti in cui da 4°C passerà massimo a 10°C (devo provare).

Facendo il punto della situazione dunque la cella è quindi utilizzata solo per la fase di maturazione dell'impasto in frigo (per 70 ore prima della precottura),e per la conservazione del prodotto imballato chiuso.

A questo punto non credo sia necessario considerare la temperatura della cella come CCP e nemmeno farei compilare un modulo per il controllo.

Eppure ho paura che durante un eventuale controllo gli ispettori facciano storie, in quanto questo tipo di registrazione sembra diventata una prassi.

Grazie per chi mi risponderà.

Saluti.


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Oggetto: CCP basi per pizza romana precotte
provaprovaprovaprovaprova

Oggetto:

Non sempre la cottura è un CCP! Partiamo dalla caratterizzazione del rischio e immaginiamo che ci siano anche contaminanti chimici che non sono termolabili. Per esempio le aflatossine. Si sconvolge quello che è l'approccio normalmente adottato, ma di questi tempi forse si dovrebbe capire che i modelli standard non funzionano. In più utilizziamo quello che già 18 anni fa veniva proposto dal vol. 7 dell'ICMSF, ossia il concetto di FSO. Si parte dalla concentrazione iniziale dell'agente contaminante, che può essere dimnuito da vari interventi corretti ma anche aumentato da possibili situazioni negative.
Riguardiamo tutto quanto detto nella domanda in questa prospettiva e domandiamoci quale risultato possiamo ottnere e se è quindi sostenibile o accettabile.
Solo come parziale esemplificazzione proviamo ad ipotizzare le differenze su un microrganismo con carica iniziale 10, 1000 o 100000 (ufc/g: pensiamo alla conta di microrganismi alteranti), oppure se patogeno 1 100 o presente in 125 g (conteggio o presenza / assenza di un patogeno). Il trattamento con 5D, come può essere una pastorizzazione ottiene risultati completamente diversi se la partenza è bassa media od alta. Non ne parliamo se dopo il trattamento termico essiste la possibilità di reinquinare, cosa che spesso sottovalutiamo e si combatte solo con le GMP, spesso dimenticate.
Dettagli ed eccezioni sono troppi per descriverli tutti, qui si è provato solo a proporre l'approccio che si potrebbe adottare per definire il problema, con tutte le problematiche di reperire dati, concentrazioni reali e non analitiche, dati epidemiologici e non modelli predittivi.


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Parole chiave (versione beta)

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